DECRETO SICUREZZA E IMMIGRAZIONE: cosa faranno i nostri sindaci?
DECRETO SICUREZZA E IMMIGRAZIONE: cosa faranno i nostri sindaci?
Applico o non applico, questo è il dilemma!
Così si potrebbe sintetizzare il pensiero oggi dei sindaci, specie di sinistra, dopo la chiamata alla disapplicazione da parte di Leoluca Orlando, raccolta da Luigi de Magistris e altri primi cittadini, del decreto legge 4/10/18 n.113, convertito con modificazioni in legge 1/12/18 n.132.
Il tema della discordia in particolare è dato dall’art.13 per il quale il permesso di soggiorno è documento di riconoscimento, ma non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica.
Questi sindaci sostengono che negare la residenza anagrafica al richiedente la protezione internazionale vorrebbe dire negare l’esercizio di diritti fondamentali costituzionalmente tutelati, come il diritto alla salute con l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale e la scelta del medico di base, il diritto al lavoro con l’iscrizione al centro per l’impiego, il diritto all’assistenza sociale con i benefici del welfare anche comunale, ed altro ancora.
Certo che se così fosse, saremmo in presenza di un abominio.
In verità però, se solo si leggesse la norma senza strumentalizzazioni politiche, si scoprirebbe che le cose stanno diversamente.
Infatti l’articolo 13 garantisce che “l’accesso ai servizi previsti dal decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti è assicurato nel luogo di domicilio”comunicato alla Questura in occasione della domanda di protezione internazionale, quindi i diritti alla persona sono garantiti comunque, ma con riferimento non alla residenza anagrafica, bensì al domicilio dichiarato.
Chiarito ciò, può forse non piacere il merito della riforma dell’immigrazione in generale, ma è questione di cultura politica e di sensibilità personale, che nulla ha a che vedere con l’asserita incostituzionalità dell’art.13.
Rimane però in piedi l’azione politica dei primi cittadini alla Orlando, che in qualità di ufficiali dell’anagrafe intendono non applicare la norma e concedere la residenza.
Quali le conseguenze di un simile gesto?
Sebbene molti ipotizzino l’abuso di ufficio, non concordo, in quanto non vedo, pure che in presenza di una palese violazione di legge, quale sarebbe l’ingiusto vantaggio patrimoniale procurato ad alcuni o l’ingiusto danno arrecato ad altri, che pure la norma di legge, l’art.323 del codice penale, pretende perché il reato sia integrato.
Piuttosto l’attenzione va rivolta all’art.142 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL) e al ruolo che vorranno giocare i Prefetti e infine il Ministro dell’Interno.
Infatti starà al Prefetto valutare se vi sono “motivi di grave e urgente necessità” tali da sospendere il Sindaco e comunque denunciarlo per “grave e persistente violazione di legge” al Ministro dell’Interno, che con decreto potrà rimuovere il Primo Cittadino.
Immagino che il Sindaco Orlando, amministratore attento, aldilà dei proclami non andrà e gli appuntamenti all’anagrafe di Palermo per la concessione di residenze contra legem verranno differiti nel tempo, così che nessuna violazione di legge verrà commessa.
La legge è legge e va applicata e il giudizio di costituzionalità non spetta ai sindaci, i quali hanno 3 possibilità di fronte alla norma: applicarla, applicarla e rivolgersi alla Corte Costituzionale, disapplicarla.
I nostri Sindaci del Fermano cosa faranno?
Porto San Giorgio, FM, li 6/1/19.
Avv. Andrea Agostini