FABIO SANFILIPPO e LA RESPONSABILITA’ di PAROLE DELIRANTI
FABIO SANFILIPPO e LA RESPONSABILITA’ di PAROLE DELIRANTI
Fabio Sanfilippo, giornalista, caporedattore di Rai Radio1, era per me un emerito sconosciuto fino a quando i media hanno divulgato la notizia di un post dove il livore contro Matteo Salvini si è consumato in parole tremende.
“Con la vita che ti eri abituato a fare, tempo sei mesi ti spari nemico mio … Mi dispiace per tua figlia, ma avrà tempo per riprendersi, basta farla seguire da persone qualificate”.
Accortosi che la notorietà superava i 15 minuti che Andy Warhol riconosce indistintamente a ognuno, il Sanfilippo successivamente scrive un ulteriore post a discolpa.
“Quel post lo riscriverei senza citare la figlia di Salvini e chiarendo meglio il riferimento al suicidio del leader della Lega … non è un invito a spararsi, ma la constatazione che si è ‘fatto fuori’ politicamente … resta il fatto che io non ho mai usato i microfoni della Rai per fare propaganda politica e che quella è la mia pagina personale, che non utilizza alcun logo dell’azienda … è un po’ come casa mia e io a casa mia scrivo e dico quello che mi pare … non c’è alcuna policy aziendale che obbliga i dipendenti Rai a determinati comportamenti sui social privati”.
Una difesa peggio dell’offesa, questo il mio giudizio professionale.
Un giornalista dovrebbe sapere che per non incorrere nel reato di diffamazione aggravata, egli deve contenersi nei limiti del diritto di critica politica.
Questa può pure essere assai aspra, ma di certo non può travalicare, neppure sui social, i limiti di civile convivenza attraverso il ricorso ad espressioni gratuite che nulla hanno a che vedere con la critica del programma e dell’azione dell’avversario, ma mirano solo all’insulto per evocare una pretesa indegnità personale e familiare.
Un lavoratore subordinato dovrebbe sapere non solo che l’utilizzo dei social durante l’orario di lavoro comporta un’interruzione della prestazione lavorativa, ma anche che quanto egli scrive sul suo profilo personale ben può tradursi in un danno alla reputazione e all’immagine del datore di lavoro, e tali condotte possono comportare una sospensione o persino il licenziamento, a seconda che il rapporto fiduciario aziendale possa dirsi irrimediabilmente compromesso.
Nella circostanza il danno all’immagine e alla reputazione della Rai è tale a mio avviso da giustificare la più grave delle sanzioni disciplinari.
Infatti un caporedattore non è un quisque de populo, un non addetto ai lavori, ma è colui che professionalmente coordina l’attività dei redattori al fine di fornire un servizio pubblico di informazione, che deve caratterizzarsi per imparzialità e completezza nel rispetto di tutte le componenti sociali del nostro Paese.
Può la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, che si mantiene attraverso l’obbligo del tributo da parte degli utenti, affidare la responsabilità della propria offerta a chi ha in animo un odio tale verso “il nemico” da essere incapace persino di un successivo ravvedimento e con ciò dimostrando la piena appartenenza ad un settarismo ideologico intransigente e intollerante?
Porto San Giorgio, li 8/9/19.
Avv. Andrea Agostini