IL LAVORO AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
IL LAVORO AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
C’è un’epidemia! Restate a casa! Anzi lavorate da casa!
E’ così che l’epidemia da COVID-19 sta impattando fortemente sulla vita di ognuno anche dal punto di vista del diritto / dovere di lavoro.
Per comprendere meglio la questione poniamoci 6 domande e poi tiriamo le somme.
- Posso non andare al lavoro per paura del contagio?
A meno che io non sia malato o sottoposto a quarantena, no.
- L’assenza dal lavoro ingiustificata e reiterata può portare al licenziamento?
Sì, ma nel rispetto sia dei contratti collettivi, che potrebbero prevedere limiti temporali di tolleranza e gradualità di misure disciplinari, sia della legge perché un giudice valuterà nel concreto il rapporto di lavoro, quindi verificherà dalla parte del lavoratore il luogo di residenza, il numero di giorni di assenza, le condizioni di salute, le eventuali motivazioni addotte, le mansioni svolte, ecc. e dalla parte del datore di lavoro, se questi poteva adottare soluzioni alternative, come l’aspettativa retribuita o lo smart working.
- Che cos’è lo smart working?
Si tratta di una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa subordinata detta lavoro agile ossia senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro e resa attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici, nel rispetto di precise garanzie di sicurezza, riposo e disconnessione.
- Cosa cambia in questi giorni per lo smart working?
Il lavoro agile si attua mediante la sottoscrizione di un accordo individuale tra datore di lavoro e dipendente (artt. 18 e ss. L.81/2017).
Ritenuta una modalità di lavoro utile a ridurre il rischio di contagio dei lavoratori, senza per questo rinunciare alla produttività aziendale, la legislazione di emergenza (D.L. 23/2/2020, n. 6; D.P.C.M. 23/2/2020; D.P.C.M. 25/2/2020) deroga fino al 15 marzo con un’autocertificazione alla necessità di accordo individuale per le aziende aventi sede legale od operativa in Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Liguria e Veneto anche con personale che, pur svolgendo attività lavorativa al di fuori delle sopra citate regioni, sia residente o domiciliato all’interno delle stesse.
- Il datore di lavoro è obbligato a fare smart working?
No, specie in considerazione delle tecnologie adottate in azienda e della tipologia di lavoro svolta dal dipendente.
Certo il datore di lavoro deve adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori (art.37 Cost., art.2087 c.c.) anche da agenti biologici (D.Lgs.n.81/08), ma una responsabilità da danno da infezione appare inverosimile in quanto il lavoratore dovrebbe dimostrare che, siccome non gli è stato consentito di lavorare da remoto, ha contratto il Covid-19 sul luogo di lavoro o recandosi al lavoro e non altrimenti, quando invece sappiamo il coronavirus essere estremamente diffusivo.
- Il lavoratore può rifiutarsi di lavorare in smart working e pretendere di lavorare nel solito posto di lavoro?
No perché ricorrere al lavoro agile in questo contesto è una decisione unilaterale del datore di lavoro, che viene assunta in considerazione delle esigenze organizzative dell’azienda dettate dallo stato di emergenza e quindi prescinde dalla volontà del lavoratore.
Compiuta questa breve disamina di attualità giuslavoristica, viene da chiedersi, possibile che in Italia occorra sempre un’emergenza per compiere un passo avanti?
Lo smart working pretende investimenti in tecnologia e formazione, oltre a un profondo cambiamento culturale e organizzativo.
Passare dal lavoro in presenza al lavoro per risultati comporta di necessità una leadership partecipativa, la condivisione di obiettivi, la responsabilizzazione di ciascuno, senso di appartenenza, fiducia e autonomia.
Le grandi imprese lo sanno, ma l’Italia vive di pubblica amministrazione e di medie e piccole imprese, che dello smart working conoscono sì e no il significato dell’espressione.
Il lavoro agile non si improvvisa con un decreto legge di emergenza voluto per evitare assembramenti sul lavoro e sui mezzi di trasporto, senza troppo penalizzare la produttività aziendale, ma chissà che il coronavirus non sia l’occasione per testare il vantaggio competitivo aziendale e di qualità di vita personale, che il lavoro da casa porta con sé.
Porto San Giorgio, FM, li 1/3/2020.
Avv. Andrea Agostini